Chi era Anna Politkovskaja, la reporter russa che osò denunciare il regime di Vladimir Putin, gli eccidi della guerra in Cecenia e gli orrori perpetrati da Ramzan Kadyrov?
Per scrivere il mio romanzo Anna Politkovskaja. Reporter per amore edito da Morellini ho studiato la sua vita. Letto i libri che ha scritto e che su di lei sono stati scritti. Ho intervistato le persone che le sono state vicine: la sorella Elena, l’amica Nadia, l’inviata Stella Pende… Poi, intorno alla sua biografia, ho costruito una cornice narrativa che ha reso più accattivante la sua biografia, già però molto avvincente.
A seguire, un capitolo alla volta, ecco la biografia, completa e approfondita, di Anna Politkovskaja, la grande reporter russa che, fino all’ultimo, fu una spina nel fianco per Vladimir Putin, Ramzan Kadyrov e tutti i soldati russi che, in Cecenia, si macchiarono di reati gravissimi.
Questa è la seconda puntata. La prima è: Dall’Onu all’Aeroflot
Ecco la vera storia di Anna Politkovskaja.
E arriva Gorbaciov
“Perestrojka, glasnost, vita nuova. Si parla a voce alta, si pensa: tutto sta cambiando”
Anna ha 26 anni, due figli, un marito affermato. Fa un lavoro che le piace, abita in un Paese in cui tutto sta cambiando. Vive tempi interessanti.
La rivoluzione che si sta compiendo in Unione Sovietica ha un nome e un cognome: Mikhail Gorbaciov. L’uomo che l’11 marzo 1985 (a 54 anni) viene eletto segretario generale del partito comunista dell’Unione Sovietica (la carica più importante del partito e del Paese) ha alle spalle un cursus honorum di tutto rispetto. Di famiglia contadina, poverissima, grazie ai suoi ottimi risultati scolastici entra all’Università Statale di Mosca. Qui si laurea a pieni voti prima in Legge e poi in Economia agraria. Sceglie la carriera politica, scala i ranghi, in dieci anni, a 39, diventa capo della sezione locale del partito. In seguito, arriva a ricoprire posizioni di grande responsabilità. Colto, brillante, uomo di mondo, è una figura “spendibile” soprattutto all’estero. Guida delegazioni in Germania e Canada. Nel 1984, partecipa a Roma ai funerali di Enrico Berlinguer e incontra a Londra Margaret Thatcher (“Un leader con cui si può lavorare” lo definisce lei).
Una volta alla guida dell’Urss, Gorbaciov annuncia che l’economia sovietica è stagnante e che è necessaria una riorganizzazione. Al principio, il suo pacchetto di riforme cade sotto la definizione di uskorenie (accelerazione). Ma poco dopo si affermano due termini che il mondo intero si abituerà a conoscere: glasnost (liberalizzazione, apertura, trasparenza) e perestrojka (ricostruzione).
Se parliamo di Gorbaciov non è solo perché la sua figura è destinata a cambiare profondamente l’anima e il modo di vivere del Paese di Anna, ma anche perché, come si vedrà più avanti, la sua strada e quella di lei sono destinate a incrociarsi.
Le riforme del nuovo leader si basano, come detto, su due capisaldi.
Il primo è la glasnost, trasparenza. Basta censura, i media sono più liberi di raccontare i problemi del Paese (povertà, inquinamento, ruolo subalterno delle donne…) e gli errori (e orrori) del regime comunista nel passato.
Il secondo è la perestrojka, ricostruzione. L’obiettivo del nuovo segretario è quello di accelerare lo sviluppo socio-economico del Paese. Per riuscirci punta a riforme che diminuiscono l’ingerenza statale, danno maggior autonomia alle imprese e si aprono al capitalismo e alla proprietà privata. Sempre legate a quest’epoca sono le campagne contro la corruzione e l’alcolismo. E l’allentamento delle restrizioni a viaggi e spostamenti, che permettono ai cittadini sovietici di andare in Occidente, fin negli Stati Uniti.
È sempre Gorbaciov a mettere fine alla cosiddetta Guerra Fredda con gli Stati Uniti d’America, che per lunghi decenni aveva fatto temere al mondo di trovarsi sull’orlo della Terza guerra mondiale. Storico il primo incontro con il presidente Ronald Reagan, al vertice di Ginevra, nel novembre del 1985.
“Non è che noi non ci fidiamo l’uno dell’altro perché siamo armati, ma siamo armati perché non ci fidiamo l’uno dell’altro” è il modo in cui lo accoglie l’ex attore, noto per le sue battute. Battuta, ma solo fino a un certo punto, visto che proprio Reagan, che aveva bollato l’Unione Sovietica come “l’impero del male”, aveva dato il via al più grande programma di riarmo del Dopoguerra.
Ma, si sa, le cose possono anche cambiare. Quando si incontrano, i due leader si sorridono, si stringono la mano e si guardano negli occhi per sette secondi. Sette secondi non sono pochi, provate a contare fino a sette, piano, la prima volta che stringete la mano a qualcuno appena conosciuto.
A quel punto è Reagan a far saltare il protocollo, proponendo a Gorbaciov di fare una passeggiata in riva al lago, prima dell’inizio dei lavori a Villa Fleur d’Eau.
È nel corso di quella chiacchierata informale, che Reagan lancia una provocazione: “Se ci attaccassero gli alieni, voi ci aiutereste?” “Certo signor presidente” risponde Mikhail. “Anche noi lo faremmo” Ronald. “Una fantasia cinematografica, tipica di un ex attore come Reagan, ma di grande forza suggestiva” ha scritto Paolo Valentino sul Corriere della Sera.
I due si incontrano più volte. Di quei momenti restano immagini sorridenti. E il disgelo.
Ma c’è un ma. Anzi, ce ne sono ben più di uno. Le intenzioni di Gorbaciov sono buone, ma anche in presenza di misure accorte, spesso i piani produttivi non raggiungono i risultati previsti. In parallelo, aumenta il deficit, diminuisce l’esportazione di petrolio e scarseggiano generi alimentari e beni di consumo.
Si ripropone, su scala globale e per un intero popolo, il grande dilemma esistenziale se è meglio scegliere di essere liberi o di essere amati. Ora il cittadino sovietico è più libero di fare impresa, guadagnare e viaggiare. Di contro, vengono meno le garanzie tipiche di uno Stato sociale.
Anna Politkovskaja, con potere di sintesi e acume, fotografa da par suo la situazione: “Da un punto di vista economico, la vita è diventata molto difficile, ma politicamente non è stato affatto scioccante. Era semplice felicità, poter leggere, pensare e scrivere quello che volevi. È stata una gioia. Devi sopportare molto in termini di difficoltà economiche per il bene della libertà. È, sotto tanti punti di vista, una vita nuova. Si parla a voce alta, si pensa: tutto sta cambiando”.
Lei lavora come giornalista nel quotidiano moscovita Izvestija e lo farà fino al 1993. Alterna la carriera alla cura dei figli. In quegli anni, la figura più in vista in famiglia è quella del marito Alexander.
Della sua infanzia, lui sottolinea l’ordinarietà: il calcio in cortile, qualche assenza a scuola, libri e film. Entra nell’esercito, rimanendoci due anni e posticipando così le proprie scelte lavorative. Sarà poi capace di recuperare il tempo perduto.
Entra nella principale tv di Stato dove, per quatto anni, fa di tutto: lavora nelle redazioni di programmi di successo, alcuni contribuisce anche a idearli. Spesso è in viaggio per lavoro, visita mezzo mondo; per esempio, è il primo giornalista russo a visitare Pyongyang, la capitale della Corea del Nord. Ha un sogno: dirigere un film. Medita di mollare tutto per iscriversi a un corso di regia. Ma il lavoro (e, probabilmente, la famiglia) lo risucchia. Fino alla svolta, nel 1987. Sul canale principale Channel One inizia ad andare in onda il programma Vzgljad (“Sguardo” o “Punto di vista”). La formula è nuova: trattare temi di attualità in modo libero, unire cronaca e spettacolo (un esempio di infotainment ante litteram). “È il tempo di avere fede in qualcosa di luminoso” dice, all’epoca. Alexander si alterna come inviato speciale e presentatore. Il suo stile è inconfondibile, come il suo look: giacca di jeans chiaro e coppola a fantasia scozzese. Il programma ha un grandissimo successo e gli dà un’enorme popolarità.
Così lui ricorda quell’esperienza: “In un attimo diventammo delle star. La gente ci fermava per strada, fummo eletti al Parlamento, facevamo serate e riempivamo i teatri in tutta l’Urss”. In parallelo, realizza documentari su temi sociali, battendosi contro le ingiustizie.
Ci immaginiamo che questo per lui e Anna sia un momento di grande felicità: giovani, innamorati, ottimisti in una nazione che guarda avanti con fiducia. E scommette sul suo futuro.
Il mood è testimoniato da una fotografia di loro due. È quasi un primo piano. Li ritrae vicini. Lui la abbraccia, lei poggia una mano su quella di lui. Deve trattarsi di una ricorrenza. Lo si capisce dal fatto che lei è elegante (indossa un abito nero castigato, ma di una stoffa “luccicante”), truccata (ombretto verde a sottolineare il verde dei suoi occhi, rossetto rosa), con orecchini vistosi. Lui indossa un semplice maglione bianco. Cromaticamente, i due sono in contrasto e, allo stesso tempo si fondono, quasi fossero la personificazione dello yin e dello yang. Avete presente la raffigurazione cinese dei due “pesci” che si compenetrano fino a rappresentare un tutto? Anna è lo yin (il nero dei capelli e dei vestiti, il puntino bianco rappresentato dagli orecchini chiari ai lobi); Alexander è lo yang (capelli precocemente incanutiti, folti e tenuti un po’ lunghi, maglione bianco a collo alto; il puntino nero è rappresentato dalle iridi scure). Ma il vero scintillio di questo foto non arriva dall’abito da sera di Anna, né dal contrasto di colori. Il vero scintillio è nei loro occhi. Non ridono. La loro espressione è quella di chi si appresta a sorridere. Sono felici, dentro, lo si capisce dai loro sguardi. Stanno per sorridere, forse. Le loro bocche sono leggermente incurvate. È una promessa di sorriso, la loro. Stanno bene, si amano. E ce lo dimostreranno. Ma, per il momento, si tengono tutto dentro. Il bianco dei loro denti e le piccole rughette ai lati degli occhi, indicatori di un sorriso pieno, noi li possiamo solo immaginare. Avranno sorriso pienamente, nella loro vita. Ma non in questa foto.
2 commenti su “La vera storia di Anna Politkovskaja. E arriva Gorbaciov.”