Chi era Anna Politkovskaja, la reporter russa che osò denunciare il regime di Vladimir Putin, gli eccidi della guerra in Cecenia e gli orrori perpetrati da Ramzan Kadyrov?
Per scrivere il mio romanzo Anna Politkovskaja. Reporter per amore edito da Morellini ho studiato la sua vita. Letto i libri che ha scritto e che su di lei sono stati scritti. Ho intervistato le persone che le sono state vicine: la sorella Elena, l’amica Nadia, l’inviata Stella Pende… Poi, intorno alla sua biografia, ho costruito una cornice narrativa che ha reso più accattivante la sua biografia, già però molto avvincente.
A seguire, un capitolo alla volta, ecco la biografia, completa e approfondita, di Anna Politkovskaja, la grande reporter russa che, fino all’ultimo, fu una spina nel fianco per Vladimir Putin, Ramzan Kadyrov e tutti i soldati russi che, in Cecenia, si macchiarono di reati gravissimi.
Questa è l’ottava puntata. La settima è: Chi è Anna?
Parigi: viaggio in paradiso
“Uno tsunami positivo. E comincio a vedere che la vita è anche felicità, una felicità accessibile anche a me: sono sensazioni che non provo da un pezzo, dalle mie parti”
Siamo alla fine di maggio del 2000. Anna viene invitata a Parigi a presentare un libro che raccoglie i suoi reportage dalla Cecenia e dall’Inguscezia pubblicati tra il settembre del 1999 e l’aprile del 2000 sulla Novaja Gazeta. A “sponsorizzare” Anna in Francia è Alexander Ginzburg. Giornalista e scrittore era stato prima internato nei campi di lavoro e poi espulso dalla Russia. Ora – paladino dei diritti civili e amico del premio Nobel per la letteratura Aleksandr Solženicyn – vive a Parigi.
“Parigi, dunque. Fine maggio. Castagni in fiore. Cinque giorni per me. Tutti per me. L’editore che con il tramite di Ginzburg ha mostrato tanta affettuosa attenzione al nostro giornale ha anche un nome raffinato e giocoso insieme, che predispone l’udito alla bellezza: Robert Laffont” scrive lei.
Anna non è una provinciale, tutt’altro. È abituata a viaggiare e, grazie al doppio passaporto russo e americano (la cittadinanza Usa le arriva nel 1990) lo può fare – ora e negli anni a venire – con una certa facilità. Quantomeno una facilità maggiore rispetto a tanti suoi connazionali.
“Ma dove passare la prima serata a Parigi, città di liberté e di folies, se non in un café? Per trovarlo andiamo a naso. E a caso. E così il primo café in cui riusciamo a infilarci è Le select” racconta lei.
Non le va male. Le select (L’eletto, in italiano) è un locale storico di Parigi. Inaugurato nel 1925 nel quartiere di Montparnasse, nel periodo fra le due guerre mondiali è diventato punto d’incontro di intellettuali, artisti, creativi, scrittori. Aperto tutta la notte, ha ospitato le bevute di Ernest Hemingway (che lo cita nel suo primo romanzo Il sole sorgerà ancora) al pari delle sfuriate della ballerina Isadora Duncan. Fulminante la definizione che ne dà la storica parigina Noël Riley Fitch: “Un posto per persone che vogliono stare sole, ma che per farlo hanno bisogno di compagnia”.
Ad accogliere e colpire Anna ci sono l’insegna da cinema vintage, l’arredamento Art Déco, le grandi pareti a specchio e le sedie in legno curvo.
“Scopriamo di essere al centro di Montparnasse. Rifugio e requie, oltre che ispirazione, per l’élite artistica del mondo intero. Accanto a noi un’allegra tavolata di garruli francesi da antologia, mezzi artisti di ogni età con l’aria da eterni studenti, si dà alla pazza gioia. I passaggi tra i tavoli sono stretti, i mobili vecchi: il tempo si è fermato in quegli ambienti, pare di essere nei primi anni Venti del secolo scorso”.
Anna respira una nuova aria: di primavera, di libertà. Ma qui si sente anche immersa nella storia. Finché un piccolo incidente, anziché turbare la sua serata, le dà invece nuovi spunti di riflessione. E di scrittura.
“A un certo punto, volendo condividere la propria felicità con un giovane artista seduto più distante, una mademoiselle – altera come ogni parigina che si rispetti, oltre che un po’ brilla – punta con foga verso di lui attraverso gli stretti passaggi della storia e rovescia la bottiglia che sta sul nostro tavolo. L’acqua finisce ovunque, dentro la borsa, sui vestiti, sulle scarpe…”
L’episodio, una ragazza che le rovescia addosso dell’acqua in un bar, è di per sé quasi irrilevante. Però ci racconta due cose, di Anna. La prima: a dispetto del suo grande impegno sociale e civile, lei ha anche una notevole vena ironica e la capacità di cogliere il lato buffo della vita. La seconda: anche la sua scrittura, di conseguenza, sa essere lieve e scanzonata. Non è Anna a rendere cupo ciò che vede. Piuttosto, è vero il contrario: da brava cronista, lei è “solo” uno specchio che riflette ciò che osserva, nel bene e nel male.
Ma continuiamo a seguire le vicende di quella serata parigina. Anna ci racconta la reazione della giovane francese che ha appena finito di allagare il suo tavolo. “E lei, l’eletta? Neanche una piega, è ovvio. Le parigine sono anime fiere, camminano sempre a testa alta. Borbotta un ‘pardon’ neanche troppo cortese, e si accomoda accanto al suo ragazzo”. Ma Anna non è contrariata, anzi.
La emoziona pensare che in quel locale si sono incontrati personaggi come Matisse e Cocteau, Henry Miller e Francis Scott Fitzgerald.
“Che altro potrebbe chiedere alla felicità un’ex sovietica quale sono io? Niente, in questo momento, oltre a sfiorare con il proprio ‘posteriore’ la poltroncina malridotta su cui si sono posati i miseri pantaloni del primo Hemingway, con l’inseparabile cocktail che anche io, ora, potrei ordinare! Eletto era lui, eletta sono io!”
Il giorno dopo, inizia la promozione del libro. Per Anna è un susseguirsi di incontri, interviste, conferenze stampa. Alla sera arriva senza voce, ma emozionata per l’apprezzamento che le viene manifestato e paga dei complimenti ricevuti.
“Un turbine di giornalisti stranamente interessati al libro; alcuni l’hanno persino letto. Si passa da un’intervista all’altra. Il ritmo frenetico imposto non riesce a cancellare l’emozione. Da ogni parte ti si rovesciano addosso belle parole, affetto, calore, apprezzamento, rispetto. Uno tsunami positivo”.
Ed ecco che il pensiero la sfiora: un’altra vita è possibile. E, forse, un’altra vita le sarebbe anche dovuta.
“E cominci a vedere che la vita è anche felicità, una felicità accessibile anche a te: sono sensazioni che non provo da un pezzo, dalle mie parti. Perché in patria il nostro lavoro non ci porta amore, ma piuttosto odio”.
La commossa emozione di Anna colpisce gli intellettuali francesi che partecipano alla promozione del libro. Immaginano che lei, da giornalista di punta, sia abituata alla girandola di eventi e reazioni che ha intorno.
“Mi scusi – le domanda qualcuno – ma quando pubblica un libro, in Russia, non fanno lo stesso?”.
“Non è capitato” risponde lei.
“In che senso? Vuole forse dire che il libro non è uscito, in russo?” “Nossignori”.
Seguono: stupore, qualche alzata di spalle qualche scambio di occhiate diffidenti. Anna ha la sensazione che non le credano. Ma preferisce non aggiungere altro né fornire spiegazioni, forse per una sorta di pudore.
Anna arriva a Parigi dopo una breve sosta fatta a Mosca. “Le prime tappe del viaggio che si sarebbe concluso nella capitale francese erano state l’Inguscezia e la Cecenia, i campi profughi, le montagne, i boschi, i soldati che sognavano di tornare a casa, le lacrime della povera gente affamata, la paura che accompagna la nostra esistenza quotidiana. Dove si vive come capita. Dove si vive per sopravvivere”. Et voilà il motivo per cui le sensazioni nella Ville lumière sono per lei tanto intense. “Parigi ha per me un sapore particolarmente dolce. Come quando, dopo un sorso d’assenzio, con quel retrogusto amaro che lascia in bocca, una caramella ti sembra un chilo di miele”.
Non solo, Parigi le concilia il sonno. “A Parigi ho dormito, e persino di gusto. Per la prima volta dopo mesi di guerra. Senza sonnifero e senza brividi di paura. Perché nessuno urlava, nessuno ti insultava, nessuno ti dava della traditrice. Tutti mi volevano bene. Tutti mi apprezzavano. Cosa che auguro di provare anche a voi. Questa, la mia felicità parigina. Una felicità mia a pieno diritto, la felicità di una giornalista russa che ancora osa testimoniare. Testimoniarne. Una felicità a doppio taglio, però, perché per provarla ho dovuto osare ben altro”.
Il libro con i reportage di Anna arriva nelle librerie francesi il 4 giugno. L’editore lo ha voluto intitolare: Viaggio all’inferno. Una giornalista osa testimoniare.
Ma in quei cinque giorni a Parigi, piccolo intermezzo nell’inferno (il suo personale e quello di un popolo intero), la giornalista ha osato anche altro. Ha osato regalarsi uno scampolo di felicità.
Una curiosità
Ambienta proprio a Le Select di Parigi la prima parte della sua videorecensione su Anna Politkovskaja. Reporter per amore la videoblogger Marina.
Un pensiero su “La vera storia di Anna Politkovskaja. Parigi”